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martedì 23 agosto 2016

Filosofia della biblioteca (dalla Finlandia)

Un libro che si propone di indagare e stabilire il fondamento della biblioteca e della biblioteconomia, in quasi 400 pagine (è lungo pure il titolo), pubblicato in Finlandia (in inglese, d'accordo, ma non scorrevolissimo), immagino che non lo leggerà praticamente nessuno. (Anch'io non pretendo di averlo letto tutto, e dubito che lo farò).
Il libro è Vesa Suominen, About and on behalf of scriptum est: the literary, bibliographic, and educational rationality sui generis of the library and librarianship on the top of what literature has produced, Oulu: University of Oulu, 2016, 379 p. (Studia humaniora Ouluensia; 15).
Di contro ai tanti ostacoli, ha da giocare almeno la carta di essere liberamente
in rete (da http://jultika.oulu.fi/Record/isbn978-952-62-1230-2).

Anche se non proprio facile e dilettevole, è però una dimostrazione molto solida di quante aporie irrisolvibili, e chiusure di visuale dannose anche in pratica, abbia il paradigma LIS oggi dominante, che Suominen (e non solo lui) chiama userism, ossia la tesi secondo la quale il fondamento delle biblioteche, delle loro attività e della biblioteconomia riposi sugli utenti (o, peggio ancora, nel soddisfarli o servire alle
loro esigenze).
(Naturalmente le biblioteche devono pur servire a qualcosa, ed è meglio che gli utenti siano ben serviti - almeno sotto alcuni aspetti - e soddisfatti piuttosto che mal serviti, ma questo non cambia nulla sul fatto che lo userism non sia, e non possa essere, un fondamento valido. Lo si vede subito anche praticamente, domandandosi p.es. che differenza c'è tra dare agli utenti quello che chiedono e dargli quello di cui hanno bisogno, e tra soddisfare il singolo individuo e soddisfare degli scopi sociali - e se pensate che ci se la possa cavare con "la maggioranza", siete veramente molto ingenui. Del resto, nessuna persona di buon senso direbbe che lo scopo dell'università sia di soddisfare gli studenti, quello degli ospedali di soddisfare i malati, quello dei tribunali di soddisfare le parti in causa, e così via).

Entrare nella questione sarebbe lungo - mentre sarebbe bello che il libro trovasse un recensore, più paziente di me - e farò solo una considerazione, da una prospettiva che a prima vista può sembrare diversa (ma che la biblioteca sia un'istituzione fondata sulla storia, Suominen lo sa benissimo).
Le biblioteche chi le ha fatte, e per chi?
I casi (forse) sono tre:
1) un gruppo di persone ha fatto una biblioteca per sé, per il gruppo stesso;
2) qualcuno (un'autorità, un'organizzazione, un mecenate, ecc.) ha fatto una biblioteca per qualcun altro, per gli altri;
3) un imprenditore ha fatto una biblioteca come iniziativa commerciale, per lucro (ma non sarete così ingenui da pensare che Giampietro Vieusseux, o Angelo Formiggini, abbiano messo su il Gabinetto o la Biblioteca circolante perché era l'investimento più redditizio per il capitale di cui disponevano: la teoria economica astratta, dell'homo oeconomicus, è una delle teorie più idiote in circolazione).
Il caso 3 ha avuto le sue fortune, in vari periodi almeno dal Settecento alla prima metà del Novecento, che sono però sempre declinate, abbastanza rapidamente, ed è quasi estinto.
Il caso 1 è stato probabilmente molto frequente, soprattutto nell'Ottocento, ma le iniziative durevoli sono state ben poche (ora non me ne viene in mente nemmeno una, di tuttora esistente e rilevante, a parte naturalmente quelle che sono passate al caso 2).
Resta, perciò, il caso 2, che a prima vista (schematizzando tanto, lo so) è il contrario dello userism (semmai, assomiglia al classico regalo di un libro, che secondo il fondatore delle Messaggerie - se non ricordo male l'aneddoto - corrispondeva benissimo alla renitenza italica alla lettura: "lo pago io, ma poi lo leggi tu").
Se siete pierini dell'educazione civica, potreste provare ad affermare che la biblioteca comunale è la biblioteca che la comunità cittadina si fa per sé (caso 1, insomma, e non caso 2).
Mi dispiace, non funziona così (È la politica, bellezza!). La giunta comunale può aprire o chiudere una biblioteca, finanziarla o lasciarla morire, quando e come le pare, e così sono sempre andate le cose. Il cittadino, p.es. oggi, ha un minimo di titolo (un voto su molte migliaia o centinaia di migliaia, poco più di un biglietto della lotteria) per eleggere un sindaco o per mandarlo a casa, ma non ha nessuna voce in capitolo sull'assessore alla cultura, e men che meno sulle biblioteche. Le probabilità che una decisione bibliotecaria modifichi l'esito di un'elezione amministrativa sono 0,0. Non è proprio così che funziona il sistema.
È un fenomeno sicuramente triste e preoccupante, ma che nelle banlieues francesi siano state incendiate, negli ultimi anni, decine di biblioteche pubbliche, ci dice fra l'altro che gli incendiari (che nessuno denuncia) la differenza tra il caso 1 e il caso 2 la vedono. Non gli do ragione, naturalmente, ma proprio per farci qualcosa, perché queste cose non succedano, la differenza tra il caso 1 e il caso 2 bisogna capirla, rimandando il pierino in prima elementare (con i sostenitori dell'idea che le biblioteche stiano lì per soddisfare i bisogni degli utenti).

2 commenti:

  1. Non conoscevo il termine "userism", molto efficace e utilizzabile anche in altri contesti. Nel commento di Alberto (che condivido in pieno) trovo particolarmente azzeccato il paragone con la missione di altri enti (ospedali, università, tribunali, ecc.). Probabilmente per le società contemporanee (anche quelle dei paesi con forti tradizioni bibliotecarie) la biblioteca sta diventando (da quando?) un "ente debole", non più dotato di un proprio "senso" autonomo, e che quindi, per sopravvivere, è costretto ad elemosinarne altri, di qualsiasi tipo o quasi.

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