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venerdì 1 luglio 2016

Il latino serve ancora a qualcosa? (Qualità dei cataloghi 4)

No, naturalmente, o almeno non nelle biblioteche, dove, come tutti sanno, libri in latino non ce n'è.
(E, fuori dalle biblioteche, quello che sembra latino per lo più è inglese: tempo fa, sulla "Repubblica", è comparso un "out out".)




Infatti, per catalogare, non c'è bisogno di sapere che in latino Aloysius equivale all'italiano Luigi: basta aprire la lista degli Autori e vedere che c'è «Berra, Francesco Luigi» (22 record). Così, si può catalogare correttamente e anche avere il piacere di osservare "toh, Luigi in latino si dice Aloysius".
Oltre a guardare il catalogo, il catalogatore dovrebbe guardare anche quello che scrive («Aloiso», senza la «i»).
Anche per questo il latino non serve.

E poi, suvvia, mettiamo un po' di creatività anche nel lavoro del bibliotecario!
Un "Aemidius", non deve diventare banalmente "Emidio", meglio il più fantasioso "Amedeo".


E non dimentichiamoci che noi facciamo il "controllo d'autorità" (che espressione goffa e fuorviante, fra l'altro).
Quindi, non vorremo mica confondere il bibliotecario e grecista Domenico Bassi, che certo non catalogava manoscritti greci, con il medico quasi omonimo Domenico Basso? Si sa che i medici sono spesso bibliofili...
E, tornando al latino, è certo preferibile non saperlo, proprio per niente, altrimenti Bassi può sembrare un genitivo (certo, concordato un po' male con "Dominicus"), da riportare al nominativo ("Bassus", italiano "Basso").

La vita dei due misconosciuti catalogatori (che, by the way, sapevano catalogare) la si trova, p.es., nel Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari italiani del XX secolo (http://www.aib.it/aib/editoria/dbbi20/dbbi20.htm), con una bella fotografia di Martini giovane. Stanno anche nel DBI, naturalmente. Ma come si fa a sperare che un catalogatore stia attento a personaggi così trascurabili e inetti da perder tempo a fare i catalogatori, sia pure di manoscritti?

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