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venerdì 19 gennaio 2024

Gli anni pisani di Alberto Petrucciani


(Bibelot, gennaio-luglio 2023)

 

Alberto Petrucciani arrivò a Pisa come ordinario di Bibliografia e biblioteconomia nel 1993, proveniente dall’Università di Bari, e ci rimase fino al 2009, anno del suo trasferimento nell’Università La Sapienza di Roma. Sedici anni non sono certamente pochi: Pisa è stata la sede dove ha trascorso più anni (più di Genova, più di Bari, più di Roma stessa), anni biograficamente e professionalmente centrali, che per di più furono contrassegnati da una dedizione costante meticolosa al lavoro di docente, di cui sono testimonianza il ricordo ancora oggi vivissimo delle sue allieve e dei suoi allievi e la commozione che ha suscitato in tanti la notizia prima della sua malattia e poi della morte, così prematura e tuttora così incredibile.

Di getto avrei detto dedizione entusiasta, perché questo era il suo vero rapporto con la trasmissione delle discipline che insegnava e con la formazione degli studenti, ma è un aggettivo che non ho osato utilizzare, così in contrasto con il suo abituale modo di porsi: Alberto praticava –non so quanto naturalmente e quanto culturalmente – una sorta di understatement romano, sotto la cui scorza trapelavano pochissime emozioni, e anche quelle bisognava conoscerlo bene per avvertirle. In quei sedici anni l’ho frequentato molto, per ovvie ragioni professionali e, in crescendo,amicali, in un rapporto diradato ma mai interrotto, anche dopo il trasferimento a Roma: se oggi dovessi indicare una caratteristica centrale del suo modo di porgersi direi “discrezione”, se dovessi indicare la tonalità di voce che di lui ricordo di più direi “piano.

La stessa discrezione rispettosa, anzi maggiore, e lo stesso garbo caratterizzavano i suoi rapporti con il mondo dell’amministrazione (per qualche anno fu direttore del Dipartimento di Storia e Presidente del corso di laurea di Scienze del libro, della biblioteca e dell’archivio, sempre benvoluto e apprezzato dai tecnici dai colleghi) e delle biblioteche: mai professorale e entrante, si prestava volentieri per interventi nei corsi di formazione e per le commissioni di concorso, occasioni in cui emergeva una formidabile – a volte impressionante - capacità di valutare le persone, i contesti organizzativi, le criticità.

In quegli anni - che un po’ enfaticamente ho qualificato come “decisivi” proprio in un piccolo contributo in una miscellanea per suoi 65 anni - si andavano strutturando e consolidando trasformazioni importanti nell’assetto delle biblioteche di università: svolte tecnologiche, dall’automazione alle risorse in rete come database su CD e poi on line da remoto, riassetti organizzativi come la creazione dei sistemi bibliotecari di ateneoAlberto, che era di memoria lunga, ne vedeva le premesse nell’intelligenza nella passione politica di quella generazione di bibliotecari universitari (quella di Ingo Bogliolo, Billi Franceschi, Leonardo Pietricola, per intenderci facendo qualche nome) che a cavallo tra gli anni 70 e gli anni 80 aveva lavorato sul fronte ministeriale, sul fronte CRUI e – moltissimo- sul fronte sindacale, portando tra l’altro un contributo decisivo alla formulazione legislativa di figure apicali di coordinamento (la cosiddetta terza legge) che divennero il perno della trasformazione tecnologica e della ristrutturazione organizzativa delle biblioteche delle università: da anni e a più riprese nei convegni professionali la frantumazione logistica e l’entropia organizzativa erano state individuate, ma praticamente senza ricadute sul sistema, come fattori di arretratezza funzionale, di scarsa qualità dei servizi e – talora- di incerta identificazione professionale della figura del bibliotecario. 

A questo si aggiunse una felice invenzione tutta pisana, che nacque dalla collaborazione tra la sua cattedra e il Sistema bibliotecario, con l’intenzione di dare un retroterra teorico-pratico alla preparazione professionale, altra sua preoccupazione costante:  un corso di Teoria e tecniche della catalogazione e della classificazione” e uno di “Organizzazione informatica delle biblioteche”appaltati’ allo SBA dal 2002: fu una gestazione burocraticamente alquanto complicata e in cui emerse la rara capacità sua, della direzione della biblioteca di Filosofia e storia, dei bibliotecari che si impegnarono a tenerli vivi e degli amministrativi della Facoltà di Lettere di trovare soluzioni concrete a problemi ingarbugliati, i cosiddetti “impicci” come li chiamava Alberto: infatti i due corsi furono realizzati come attività del Sistema bibliotecario di ateneo grazie all’opera di paziente tessitura di un modello organizzativo misto (e in qualche modo inedito) in sinergia soprattutto con Beatrice Bargagna, Simona Turbanti e Massimo Testardi.

 

In tutti gli snodi il confronto con lui era stato sempre costante e proficuo, non solo nelle sedi istituzionali come le commissioni di ateneo, ma anche e soprattutto nelle lunghe conversazioni in dipartimento, dove la sera lo trovavi fino all’ora di cena, e qualche volta anche a tavola, senza troppa pesantezza, perché il nostro amava sanamente anche discorrere del cibo e del vino. 

Posso dire che ci sono state circostanze fortunate in cui questo rapporto è cresciuto: la prima occasione fu un’indagine che gli era stata affidata nel 1996 dalla provincia di Grosseto, con un questionario e un progetto di riorganizzazione a cui lavorò la sua laureanda Marta Rinaldi [e prima Sabrina Masoli] e in cui volle coinvolgermi: e così chiacchierate anche in macchina (una Ford che guidava sempre lui, fumando, col sedile tutto tirato indietro, lungo com’era) e poi qualche spuntino in Maremma. L’indagine, con le proposte di ristrutturazione, era stata concepita come preparatoria alla creazione del sistema bibliotecario provinciale, che per vie tortuose, come capita spesso non solo nel nostro mondo, fu poi realizzato a partire dal 2000, raccogliendo alcune delle indicazioni del nostro progetto.

In passato avevo avuto modo di misurare la sua umanità intensa ma al solito priva di retorica di fronte a alla malattia e alla morte di persone vicine. Quando l’ho visto per l’ultima volta a Roma nell’agosto di quest’anno, poco prima che ci lasciasse, era palesemente sofferente, ma preoccupato del destino di certe carte in mio possesso da destinare all’AIB, sempre là a frugare fra i suoi libri, a cercare conferme di notizie in rete, ad assicurarsi che il computer funzionasse correttamente, insomma senza aver perso uno iota del suo abituale understament da signore romano.

 

Renato Tamburrini

Già Dirigente del Sistema bibliotecario dell’Università di Pisa

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