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domenica 15 gennaio 2017

Precariato e volontariato dei beni culturali: c’è un rimedio?

Valentina ci manda questa storia che abbiamo letto con interesse (e con raccapriccio) e che abbiamo deciso di condividere con chi ci segue.

La problematica dei precari e dei volontari dei beni culturali è cosa annosa e risaputa. 
Ma non per questo si dovrà cessare di parlarne e di riflettere su di essa. Anzi: in attesa che il MiBACT (e chi altri di dovere) prenda seriamente in carico la questione, ciò che più conta è informare e mantenere sempre accesa l’attenzione sulla piaga in questione: che de-professionalizza gli addetti ai beni culturali, e che svaluta i beni culturali stessi (e che in altre parole, allora, non li «valorizza» né li «tutela», come disporrebbe invece il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, «in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione»). 
Per questo è importante raccontare la storia di Federica, volontaria della Biblioteca Nazionale di Roma: «volontaria perché da anni non pare ci sia altro modo di inquadrarci che come iscritti ad un associazione di volontariato». 

Lo ha fatto Antonio Sciotto, su Il Manifesto (http://ilmanifesto.info/io-scontrinista-sfruttata-dalla-biblioteca-di-roma/), e a nostra volta ci impegniamo a darle la maggior risonanza che ci è possibile. «Siamo fantasmi – è Federica che parla – eppure lavoriamo come tutti i dipendenti all’accoglienza degli utenti, alla catalogazione, alla fornitura di materiali e libri ai tavoli». 

Il diritto (e il dovere) al riconoscimento di un titolo di professionalità e di competenze specializzate destinate al settore dei beni culturali, dunque, non costituisce in nessun modo una materia di interesse. Ma soffermiamoci sui metodi di retribuzione: «Raccogliamo gli scontrini della spesa alimentare fatta in un mese, a volte ci vengono dati anche dai dipendenti per solidarietà, quindi li presentiamo alla Biblioteca: a fronte ci viene dato una sorta di “rimborso spese” forfettario, con un tetto massimo di circa 400 euro». Questa è la storia di Federica e di altri 24 volontari della Biblioteca Nazionale di Roma. Ed è una cosa giusta raccontarla e diffonderla. Perché storie come questa sono le storie di molti, e perché bisogna tenere alta la guardia affinché l’indignazione che esse provocano non si corrompa mai in risentimento, in una sfiducia rabbiosa che spesso fa la forza di chi la suscita e sempre nuoce a chi la prova. La causa dei diritti dei beni culturali (e di chi ad essi si dedica), però, ha ora bisogno di essere difesa con il massimo della lucidità e della forza morale di chi la sostiene: che tale indignazione sia allora la sua spinta appassionata e non una debolezza!

[Valentina è laureata in filosofia ed ha lavorato come collaboratrice e volontaria in alcune biblioteche dell'Universtà di Pisa; continua a coltivare l'interesse per gli studi filosofici e a marzo inizierà il Master in Archivistica e Biblioteconomia dell'Università di Firenze. Potete trovare un suo profilo a: http://riviste.aib.it/index.php/bibelot/article/view/11575/10851]

3 commenti:

  1. Ero del tutto all'oscuro di questa storia incredibile e disgustosa degli scontrini (ma non si finisce mai di toccare il fondo...) e devo ringraziare Valentina per la segnalazione.

    A estremo margine della cosa e parlando dell'articolo del Manifesto, penso che parlare di voucher nel titolo non sia buon giornalismo e faccia parte di un malcostume per cui tutto fa brodo purché giovi alla mia parte politica, confermi le idee che mi sono fatto su questo o su quello, mi faccia sentire parte di un movimento di indignazione più vasto, e così via.
    Per indignarsi (e fare qualcosa) per questo scandalo degli scontrini, non ci sarebbe bisogno di ammiccare alla questione dei voucher (che sono evidentemente tutt'altra cosa, a prescindere dall'opinione che se ne abbia - e la mia è diversa da quella della CGIL); mi permetto poi di dubitare sulla verginità dellla CGIL nella gestione della BNCR.

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    1. Ho cancellato per errore il mio commento: lo riscrivo. Quando mi riferisco alla necessità di rimanere lucidi mi riferisco anche, in modo indiretto, al dovere di non sollecitare forme di indignazione generica e generalizzata, di non allestire obiettivi polemici dai contorni confusi e di non strumentalizzare il malcontento: e uno degli obiettivi principali degli organi di informazione è proprio tenere sempre conto di questo imperativo.

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